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In un tempo neppure troppo lontano uno sparuto manipolo di temerari decollava a bordo di improbabili macchine volanti per compiere voli radenti il suolo, spesso conclusi prima del previsto con atterraggi catastrofici, apparecchi distrutti e vite spezzate nel fiore degli anni. Di questa legione di «aviatori metà teatranti e metà rompicollo» Roland Garros è stato uno dei rappresentanti più valorosi, tanto che proprio a lui si devono alcune imprese entrate nella leggenda, fra cui tre record di altezza e la prima traversata senza scalo del Mediterraneo. Per non parlare dell'importanza che le sue innovazioni ebbero nella storia dell'aeronautica militare, come la messa a punto di un meccanismo che consentiva di sparare attraverso l'elica degli aeroplani, rendendo così possibili i primi duelli aerei già nel corso della Grande Guerra. Redatte tra il 1915 e il 1918, durante la lunga prigionia in Germania, queste sue memorie - definite da Philippe Forest un «formidabile romanzo d'appendice» - ci consegnano un ritratto sfavillante e spassoso di un mondo che non contempla l'attesa perché capace di guardare solo al futuro. E soprattutto quello di un genio impavido e a tratti schivo, afflitto da «una ripugnanza istintiva per il peso» e disposto a morire pur di ammirare lo spettacolo abbagliante del mare di nuvole e la «luce vergine nell'aria vergine».